Italian Version - L’arte a kilometri zero

Durante questi mesi di quarantena le maggiori case d’asta italiane e internazionali hanno dovuto correre ai ripari e, in breve tempo, hanno saputo adeguarsi; molte case d’asta avevano già sviluppato piattaforme online prima del lockdown, per dare la possibilità ai propri clienti di partecipare alle aste via internet, ma con l’avvento della pandemia e la chiusura obbligata di tutte le attività non indispensabili, le case d’asta hanno dovuto cancellare tutte le aste future e spostarle sull’etere, accelerando un cambiamento – quello delle aste soloonline – che ormai sembra inevitabile.
Così, in questo periodo di casalinghitudine, dopo aver fatto i vari tour virtuali dei musei e delle gallerie che mi interessavano, ho avuto modo di capire e apprezzare come funziona il cosiddetto mercato secondario dell’arte; mi sono iscritto a decine di case d’asta, ho partecipato ad aste online sia italiane che britanniche e mi sono divertito a fare rilanci, a vivere il dramma della competizione e dell’ultima offerta, a notare come l’offerta di aggiudicazione per alcuni artisti vada sempre oltre il prezzo stimato dalla casa d’asta e come invece altri artisti restino quasi sempre invenduti.
Una cosa che ho notato è che, a parte i nomi altisonanti dei vari artisti di fama internazionale le cui opere sono presenti in tutte le aste, ogni casa d’asta offre un certo numero di opere di artisti locali; se, ad esempio, si scorre il catalogo di una casa d’aste di Salerno, vi si troveranno artisti pressoché sconosciuti ai – che so – torinesi, e viceversa. Inoltre non manca una certa dose di campanilismo; nel senso che, se un artista fiorentino – diciamo, Vinicio Berti – è presente nel catalogo di una casa d’aste di Firenze, l’opera di solito è più apprezzata che se fosse in catalogo di una casa d’aste veneziana.
Parlavo di queste mie riflessioni con un amico artista inglese di nome Simon. E, tentando di riassumere i miei ragionamenti con una parola, ho detto che l’arte italiana è provinciale – andando così a riaprire la vecchia ferita del nostro proverbiale provincialismo e conseguente esterofilia. Simon mi ha guardato perplesso – la parola inglese che avevo usato era provincial, che non ha una connotazione troppo positiva – poi mi ha detto che l’arte in generale, non solo quella italiana, è local – locale, del posto.
A pensarci bene è logico che un artista sia apprezzato prima di tutto dove vive e lavora, che venda le proprie opere soprattutto a livello locale, e che quelle opere vadano poi a finire nelle case d’asta della città in cui è cresciuto artisticamente. Molti artisti riescono a farsi un nome a livello nazionale, alcuni addirittura a livello internazionale, ma tanti rimangono conosciuti solo a livello locale; non perché la loro arte sia provinciale, ma perché credo che l’arte funzioni meglio a kilometri zero.

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